Negli ultimi tempi, complice anche il fatto che Internet veicola milioni di informazioni in tempo iper-reale e l’accesso continuo e costante a questi dati rende tutti (apparentemente) più eruditi, riscontro che la tematiche “militare” (nelle sue espressioni e differenziazioni army, navy e, meno, quelle air force) è diventata il fiore all’occhiello di più o meno quasi tutti i marchi.
Così mi accorgo, giorno per giorno, che chi fino a ieri vendeva felpe modaiole e ha fatto la sua fortuna con i “loghi” (margherite, banane e/o effusioni varie sponsorizzate del calciatore di turno, oppure jeans con i brillantini e le borchie o magari anche autentici, se vogliamo, ma ispirati a ben altre filosofie: oggi é diventato (anche lui!) un esperto del mondo “militare” e questo onestamente, mi fa un pò sorridere.
Lo dico con simpatia, naturalmente, perchè mi piace confrontarmi.
Entrare con cultura nel merito del mondo dell’abbigliamento ispirato dalla filosofia del prodotto militare non è facile, non basta comprare qualche capo vintage, magari la solita Field Jacket o il solito Peacoat da copiare per diventare esperti, non basta strappare le pagine dei vari magazine di ricerca Giapponesi e darle al modellista, per poter affermare di conoscere, anche solo in minima parte, la filosofia che sta dietro alla progettazione e costruzione all’abbigliamento militare.
E onestamente, quando guardo in giro, quando mi confronto con negozianti, clienti e colleghi… io di stilisti, designer e grafici esperti (a parole, nota bene) ne vedo sempre di più.
Cascano tutti però quando chiedi con che materiale è fatta una Zip General del 1974 montata in prima istanza su un pantalone M-51 Cold Weather, U.S. Army Issued, in armatura raso rovesciato di cotone-nylon, si, perchè per la maggior parte di loro il mondo del militare è solo quello di capi con parecchie tasche, qualche dettaglio in nastro canvas, un pò di bottoni.
Soprattutto è comprare i capi di qualche brand importante e copiarli… simpatico vederli con le valigie piene, tutti arruffati, al Narita!
In realtà mi stanco presto quando consulto i social network o la rete… perchè quello che trovo è solo la fiera del trito e ritrito, sebbene, e questo va detto, ci sono eccellenti eccezioni, anche e soprattutto di casa nostra, che hanno la mia giornaliera e rigorosa visita e ai quali tributo il massimo rispetto.
Ce la metto tutta, credetemi, per cercare di seguire, di capire, di ragionare sul fatto se sono io che guardo troppo oltre o se invece il guardare troppo indietro (nel senso di poter avere la fortuna di consultare soprattutto tanta bibliografia e capi storici) sia giusto o sbagliato… e quindi se mi scandalizzo ancora (e qui sbaglio) per il modus operandi del mio settore: fare il viaggetto di ricerca, riempire la valigia di capi, portarli in azienda, copiarli alla meno peggio.
Campionario fatto.
Ma lavorare col “mondo” militare, a mio modo di vedere, ma credo di non sbagliare, vuol dire ben altro: ed è il modo in cui ho imparato dai miei maestri sul finire degli anni 80, che ancora oggi non posso che ricordare con emozione e ammirazione quando leggo gli appunti che mi facevano frettolosamente buttare giù di notte, quando mi chiamavano alle tre tre del mattino, io giovane assistente che dormiva in una maleodorante pensione da camionisti (quello potevo permettermi… e ringrazio ancora di aver vissuto quei momenti impareggiabili che rivivrei da capo anche subito) per raccontarmi come il giorno dopo avremmo lavorato sui Mackinaw modello 1942 o sui Trench Coat della prima guerra mondiale…
Allora so che parlare di prodotto “military inspired” è ben altro rispetto a quello che oggi tutti professano.
Serve ben altro.
Cosa? Bibliografia ho detto… non le riviste, sebbene ve ne siano di validissime. Ma non basta. Parlo di libri storici, di archivi originali, di fotografie storiche, di interviste a chi ha indossato davvero quei capi.
Archivio poi, che significa andare oltre i soliti pezzi. Fare ricerca “trasversale”, fare percorsi nuovi.
Viaggi? Si, certo, andiamo pure tutti in processione nei santuari della moda ma cerchiamo di guardare oltre. Io da vent'anni vado e guardo oltre: forse per quello ho pezzi in archivio che non sono poi all’ordine del giorno… pochi, ma buoni. Anzi, molto buoni. E non dirò certo qui dove li ho trovati.
Gli accessori, elemento vitale, parte essenziale.
Quanti dei presunti capi militari che si vedono in giro hanno poi un progetto grafico coerente e filologico? Accessori autentici, etichette che non siano prodotte a basso costo (tanto è un’etichetta, ci sente dire, no?) cerniere e bottoni “veri”? Nei materiali, nella manifattura? Pochi.
Quanti designer o graphic designer hanno mai toccato con mano un'etichetta con armatura navetta, tessuta con filato trilobato? Quanti sanno come si data un capo militare? Pochi, io penso. E anche qui credo di non sbagliarmi troppo.
Eppure ogni giorno ci sono dei designer, ed io mi sento, umilmente, tra questi, che indipendentemente dalla moda corrente e dalla prospettiva di "mercato" cercano di fare il meglio possibile per trasmettere nel loro lavoro ed ai loro clienti (cosa importantissima) questi valori di originalità e di rispetto, parola fondamentale, perché il primo atto che mi sento di fare, quando prendo in mano un pantalone M-51 Cold Weather per cercare di capirlo, è rispettarlo: dal tessuto, all'etichetta, passando per la zip.
E nel fare questo rispetto il mio progetto, rispetto (soprattutto) il mio cliente, rispetto me stesso: perché so di essere intellettualmente onesto.
E ogni giorno imparo qualcosa, perché dopo 25 anni di lavoro in questo settore sono ancora come quel ventenne che dormiva nel letto sfondato di quella pensione da pochi soldi: avido di conoscenza.
Sono pochi questi designer, alcuni hanno oggi un'età di tutto rispetto e scrivono pagine epiche… una volta ce n’erano molti più, qualcuno è stato mio maestro.
E sono ancora loro, io credo, che oggi, nella personale ed evolutiva, modernizzata, visione del “prodotto militare”, sanno davvero fare il nuovo e sanno riprendere le filosofie più autentiche per portarle a noi oggi: fresche come una rosa.
Altro che vintage.
Qui si parla di futuro.
E il futuro passa per la conoscenza, la cultura, la ricerca e per il rispetto.
Un pò meno per lo shopping, ma questa è solo la mia modesta opinione.
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